“Come stai”, una domanda che poniamo e ci viene posta in continuazione ma che col passare del tempo ha perso il suo significato, o meglio, ha perso il suo vero intento. Se “buttata lì” soltanto come pro-forma, come abitudine, forse andrebbe sostituita!
È una domanda così bella. È una domanda con un valore così importante!
Purtroppo, quasi nessuno più ascolta la risposta e nessuno più risponde dicendo la verità. Non siamo pronti a rispondere sinceramente ad una domanda così profonda che esprime così tanto interesse (o almeno dovrebbe). E quel momento di comunicazione purtroppo scivola via e si perde.
Entrando in contatto con qualcuno (di persona o al telefono) sarebbe poco educato non chiedere “come stai”, ma non lo facciamo con cognizione di causa. Molto spesso, infatti, quando veramente vogliamo mostrare interesse verso una persona riformuliamo in un secondo momento la domanda dicendo “ma tu come stai?” “Che mi dici di te?” a conferma del fatto che il primo “come stai”, enunciato quasi senza neanche rendercene conto, è diventato solo un cliché oramai.
Introdotto questo aspetto di cui tutti siamo consapevoli ma di cui purtroppo soltanto in pochi riescono a spezzare il meccanismo, sarebbe opportuno chiedere “come stai” solo se veramente ci interessa saperlo (sarebbe più coerente, ammettiamolo) o almeno, dopo aver posto la domanda, mostrare attenzione nella rispostache ci viene fornita. Si inizierebbe a dare più valore a quelle parole. D’altro canto, sarebbe un grande innesco iniziare a dare una risposta vera, reale, che corrisponda a ciò che sentiamo, a come stiamo, a ciò che desideriamo che l’altro sappia di noi. Facciamo capire a chi ci pone la domanda quanto sia importante per noi e cerchiamo di trasmette schiettamente cosa proviamo, senza nasconderci dietro un “sto bene” “abbastanza bene” o risposte simili.
Perché questo articolo in un contesto come questo?
Perché quando chiediamo “come stai” ad una persona con patologia cronica complessa (rara o non rara) non solo dobbiamo essere attenti alla risposta – immaginate il valore che viene dato a quella domanda dall’interlocutore – ma dobbiamo essere più puntuali nel fare la domanda…. “Come stai adesso?”
Aggiungere un avverbio può fare la differenza.
Una malattia cronica complessa è imprevedibile. Ha il controllo totale sullo stato fisico e di conseguenza psicologico di chi ne soffre. Si può stare bene per un periodo ma improvvisamente si può precipitare in uno stato di sofferenza, disagio, paura, stanchezza. Quindi “come stai adesso” mostra la completa comprensione che si è consapevoli che tutto può cambiare da un momento all’altro ma che a voi interessa come sta, come si sente, la persona in quel momento sia per poter far sentire ancor di più la propria vicinanza se il periodo non è dei migliori, sia per gioire insieme di un periodo inaspettatamente positivo.
Ricordiamolo tutti…. “Come stai adesso?” sottintende “io so che spesso stai male e soffri ma … come stai adesso?” può fare una grande differenza.
Ascoltare fa la differenza.
Dare peso alle parole fa la differenza.